Il balcone di Golda – PRESS

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ALBA Dicembre 2012 – Laura Timpanaro
Un ritratto vivido e appassionato di una donna che ha scritto la storia recente del conflitto in medio-oriente. Uno spettacolo
teatrale che auspica alla pace, alla risoluzione dei conflitti, a colmare le distanze tra la parola Shalom e Salam.
Si può fare teatro della memoria e teatro di impegno civile portando in scena la dimensione umana di un personaggio storico?
Si può fare leva sulle passioni, i sentimenti e le fragilità di una donna per ricostruire le fasi storiche particolarmente delicate del conflitto in Medio Oriente? Sì, se la donna in questione è una delle figure più importanti della politica internazionale del ‘900, se sono state proprio le sue passioni e le sue fragilità a guidarne l’operato politico, e soprattutto se a condurre l’operazione teatrale sono due donne talentuose del palcoscenico italiano: Maria Rosaria Omaggio che ne cura la regia, e Paola Gassman che è la protagonista della pièce Il balcone di Golda, andato in scena al teatro “Franco Parenti” di Milano il 19 novembre.
Introdotto da una riflessione sull’ebraismo e sulla questione in Medio Oriente dal giornalista Oscar Giannino, lo spettacolo ripercorre oltre mezzo secolo della storia recente attraverso il racconto in prima persona della statista israeliana. Un viaggio nell’animo di Golda Meir, prima donna al comando del governo israeliano nel pieno di difficili crisi internazionali. In un monologo intenso, scritto dal drammaturgo americano William Gibson, e tradotto da Maria Rosaria Omaggio, che ha prodotto lo spettacolo e ne ha curato la regia.
Una donna, ormai giunta alla maturità, racconta il proprio vissuto in un periodo storico difficile e in una terra logorata dai conflitti.
Se il fisico, appesantito, e il volto, addolcito dalle rughe, ne rivelano l’età non più verde, la voce e il pathos nel raccontare gli episodi della propria vita denunciano una personalità combattiva, incapace di arrendersi. Così scorrono, in circa 90 minuti, i ricordi di un’esistenza iniziata ai confini della povertà, a Kiev, con un padre falegname e una madre casalinga. Un’infanzia scandita dalla miseria, dai pogrom, e dalla paura per i ripetuti atti di antisemitismo di cui è stata testimone, e l’ebraismo a fare da sfondo e da punto di riferimento costante. L’anticonformismo e la voglia di libertà durante l’adolescenza portano Golda a trasferirsi a Denver a casa della sorella. Inizia allora il periodo di fermento culturale, scandito da incontri con scrittori ed intellettuali dell’epoca, che fu alla base delle successive scelte politiche. Nel ricostruire un periodo storico particolarmente difficile per il conflitto israelo-palestinese, Golda trova spazio per confrontarsi con la propria natura di donna libera ed indipendente, con i sensi di colpa per aver trascurato i figli nel seguire la propria missione, e la nonchalance con cui ha, invece, intrattenuto relazioni extraconiugali, pur riservando un sincero affetto nei confronti del marito. Paola Gassman si muove con maestria su una scena essenziale, scandita da pochi elementi: due sedie, un tavolo che si apre in due balconi, e uno schermo su cui scorrono immagini (faticosamente ottenute) di archivi storici. Uno scenario spoglio e minimalista che ben si adatta alla personalità complessa eppure priva di orpelli di Golda, incarnata perfettamente dalla Gassman che, con la capacità della mimica, della gestualità e del movimento, ha portato sul palco il monologo intenso, drammatico e umano della grande statista.
Una nota di merito a parte merita la regia di Maria Rosaria Omaggio. Dalla scelta della scenografia al gioco di luci, realizzato con l’aiuto del pvc, sul quale sono state proiettate anche immagini di repertorio, alle musiche di Luis Bacalov in sottofondo, il lavoro di regia riesce a disegnare uno sfondo realistico e suggestivo del periodo storico, sottolineando la dimensione umana del dramma, attraverso la figura di Golda, e infonde il messaggio denso di pathos di riconciliazione, di risoluzione dei conflitti.